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OLA@special 10-13 ottobre

Scendere di nuovo la stradicciola d’asfalto verso il porto di Salivoli, ritrovare le due palme al centro dell’isolotto di mattoni, il bar delle colazioni, all’ormeggio barchette, barche e barcone, e Stefano sempre impegnato a combinare qualcosa, e le altre, quelle che si conoscono già da corsi precedenti, e i nomi da imparare delle appena incontrate.
“Era passato un po’ di tempo e molta acqua dall’ultimo corso OLA@special”, recita il sito: e ora l’edizione autunnale, dal 10 al 13 ottobre, ha visto riapparire fedelissime del calendario OLA@special e nuove partecipanti, tutte alle prese con quattro giorni di vela. Il programma è quello oramai collaudato. La mattina ci si trova alle nove per un’oretta di didattica. Rosa dei venti, nodi marinareschi, i concetti fondamentali di sopravvento e sottovento, e l’orzare e il poggiare, senza dimenticare l’accostare, e l’utilizzo e le regolazioni di randa, fiocco e gennaker, la virata in prua e in poppa, la scelta dei bordi, lo scarroccio, il vento reale, il vento apparente, le raffiche, il recupero dell’uomo a mare. Dalle spiegazioni si passa poi rapidi a formare gli equipaggi, si monta sui J-80 e via, verso le isole dell’arcipelago toscano fino al tramonto.
Un corso di vela per principianti come un altro, a leggere il programma.
Eppure si affastellano donne che ci tornano e ritornano, anche se in alcuni casi già esperte di quegli argomenti da anni. Perché? La prima risposta, la più immediata e vicina ai fatti, è quella che spiega come le partecipanti a questo corso siano legate dalla coincidenza di aver avuto un episodio oncologico. E allora il racconto di una può riapparire di scorcio nell’aneddoto di un’altra, una conversazione può rivelare quasi sbadatamente una stessa esperienza, un cognome, un pettegolezzo, una risata possono aprire brevi spiragli su un sottofondo comune di relazioni, ricordi, incontri. Ma alla lunga l’intreccio di un destino simile non basta a spiegare perché queste giornate di vela avviluppino chi le prova, perché resistano alle sfilacciature dei mesi domestici, perché vi si torni contando di ritrovare proprio quel certo umore lì. Stavolta il suggerimento per una risposta diversa me l’ha offerto Chiara. Che una mattina come un’altra, tra una manovra e una distensione collettiva sulle sartie, si mette a raccontare di una giornata in ospedale. Alla sua richiesta se la chemioterapia fosse compatibile con l’ipotesi di avere successivamente dei figli, la risposta dell’infermiere suonò: “Fossi in lei penserei di avere dei figli solo dopo essermi sincerata di poterli crescere”.
Chiara prosegue nel racconto, Cristiana continua a timonare, Stefano regola il gennaker e io guardo a questo piccolo mondo che naviga avanti e indietro sotto Piazza Bovio e penso a quanto sia diverso da quello in cui mi muovo tutti i giorni.
In cui ognuno di noi passa attraverso gli altri a occhi semichiusi o chiusi del tutto, fra dimenticanze e lacune, casuali fiammate di curiosità, superficialità, indelicatezze, giudizi crudeli o sommari, e quel perpetuo mormorio informativo, quella risacca di lo sai che stanno già divorziando, che lui è andato via due anni fa, che lei non l’ha poi sposato, che lui si è trasferito a Roma, che lei, dopo il secondo figlio, ha piantato tutto, s’è messa con un giornalista… Quello che due scrittori come Fruttero e Lucentini chiamavano il romanzesco greggio, di cui tutti siamo al tempo stesso produttori e consumatori: “da una certa distanza, tutti raggiungiamo la dignità di personaggi; ma dobbiamo rassegnarci all’idea che un flirt balneare e un’appendicite, una vita ricca di avventure o tragedie e un’esistenza di totale piattezza, occupano in ultima analisi, nel campo visivo di chi ci sta intorno, lo stesso modesto spazio periferico, che ci vuole all’incirca la stessa quantità di parole tanto per dire «lei adesso sta nelle Antille a cercare i tesori dei galeoni spagnoli», quanto per dire «lui ha vinto il concorso e s’è sistemato all’Inps di Savona»”.
Nulla rattrista più di questa continua dimenticanza in cui cadiamo e facciamo cadere gli altri.
Ma, ecco, senza enfasi mi sembra di aver capito che a queste settimane OLA@ special il filtro d’imprecisione e trascuratezza dell’ottica un po’ di tutti si riesca a sollevare.
E ci si ritrovi con occhiali più inclini a raccogliere i sentimenti quando si manifestano.
Quell’infermiere raggelante dirà la stessa impronunciabile frase in altre sale d’attesa, ma su quel J-80 dove ho ascoltato il racconto di Chiara quelle parole sono state accolte con attenzione, e con cura lasciate scivolare e annegare.