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Il canto delle sirene

Non ho avuto la fortuna di nascere e crescere vicino al mare. Non ho quindi acquisito quella sensibilità agli elementi, al vento, alla mutevolezza delle condizioni meteorologiche che possiede solo chi è nato a contatto con l’acqua salata. Eppure la mia famiglia è sempre stata legata al mare, perlomeno per quanto riguarda il ramo paterno. A partire da mio nonno pescatore, non l’ho mai conosciuto, ma i racconti che lo riguardano hanno sempre acceso la mia fantasia. Originario di Ponza e trapiantato a Piombino e poi a Capraia, aveva iniziato la sua umile ma epica professione al tempo degli ultimi velieri che solcavano i mari. Mani callosissime e gran lavoratore, a lui sì che scorreva l’acqua salata nelle vene. Era infatti noto anche fra gli altri pescatori per la sua capacità di ritrovare un punto qualunque in mezzo al mare, dove aveva calato gli attrezzi da pesca, senza l’uso di nessuno strumento e senza nessun punto di riferimento visibile; insomma aveva il gps nella testa! Le storie e gli aneddoti che lo riguardano sono troppi per essere riportati qui, ma raccontano tutti la forza e la dedizione di una vita di fatiche, la solidarietà verso chi è in difficoltà e mi hanno insegnato che si può essere grandi capitani anche su una piccola barca di legno. E poi mio padre, che quando aveva solo qualche giorno di vita venne caricato sulla Lida, il peschereccio scoperto di mio nonno, e portato a Ponza per essere battezzato con lo stesso nome del Santo patrono dell’isola. Mio padre, da sempre grande appassionato di vela, trasferitosi a Milano, si costruì un piccolo catamarano smontabile, lo caricò sul tetto della macchina e con il suo piccolo guscio di noce costeggiò tutta la Jugoslavia. Poi qualche anno più tardi, quando ero bambino, ricordo benissimo come passavamo le vacanze estive a bordo del nostro Meteor, andando su e giù per l’arcipelago toscano. Ero troppo piccolo per imparare a navigare, ma porto ancora con me il ricordo delle acque cristalline delle isole, della semplice e frugale vita di bordo… nonché delle grandissime capocciate prese sottocoperta! Poi nei primi anni novanta i miei genitori acquistarono Poggio Diavolino, un’azienda agricola a Suvereto. La terra era abbandonata dagli anni cinquanta, la casa necessitava di tanti lavori di ristrutturazione, c’era sempre da fare e il Meteor rimase fermo sul suo carrello, con la polvere ogni anno più spessa. Nonostante la vicinanza della costa, tutti i nostri sforzi, l’impegno e la passione vennero dedicati all’agriturismo, mettendo una parentesi a barche e veleggiate. Poi ho iniziato l’università, iscrivendomi a fisica, con l’idea di capire cosa succede lassù sopra le nostre teste, nell’infinità dell’universo. Ho continuato gli studi a Parigi, ma ben presto il richiamo del mare e delle sue infinite avventure si è fatto sentire. Ho iniziato quindi a specializzarmi in oceanografia e meteorologia, con l’idea, lo confesso, di andare il più possibile per mare. Era un mare chiaramente un po’ “diverso” da quello del mondo della vela, ma amavo comunque bazzicare i porti, le lunghe ore di veglia dei quarti notturni, svegliarmi in mezzo all’oceano, scoprire ogni giorno un orizzonte sempre nuovo. Durante il mio dottorato sulla fisica degli oceani ho partecipato a diverse missioni nel Mediterraneo e nell’Atlantico. Ma ho avuto anche la fortuna di vedere con i miei occhi le imponenti colline d’acqua nel Passaggio di Drake e passare quattro mesi in Antartide, il grande regno dei ghiacci. È stata un’avventura indimenticabile che ha suggellato per sempre il mio amore dei viaggi per mare. Poi la mia vita ha preso un altro corso, ad un certo punto c’è stato bisogno di me a Poggio Diavolino. Sono quindi tornato in Italia e ho preso in mano l’agriturismo, come era successo a mio padre mettendo per un momento da parte il mare e le barche. Ho trasferito allora un po’ di quella curiosità e stupore nei confronti del mondo nel mio nuovo lavoro di agricoltore a Poggio Diavolino. Di fatto ho cercato di ritrovare l’ebrezza dell’avventura in pratiche agricole curiose e inusuali. È così che per esempio ho recuperato e coltivato fino a 500 varietà di verdure rare e curiose, solo i pomodori erano più di 200 tipi. Poi col tempo ho messo in piedi un allevamento di una decina di razze di polli ornamentali, fra cui alcune che depongono uova col guscio naturalmente colorato: blu, verdi e marroni. Ho iniziato a produrre pasta di grani antichi e pane al lievito madre, seguendo ricette molto particolari, il nostro pane nero per esempio contiene ben 57 ingredienti diversi! Un vero inno alla biodiversità e probabilmente uno degli alimenti più completi che si possa trovare. E poi salumi naturali, una pergola con 17 varietà antiche di uva da tavola, olio extravergine di oliva, aceto… Ma non solo agricoltura, l’accoglienza turistica è l’attività preponderante e che rende possibile tutto il resto. Per accogliere i nostri ospiti abbiamo tre casette in pietra completamente indipendenti immerse nel verde e due carrozzoni gitani che ho interamente costruito con mio padre, dalla struttura in legno alla veranda in ferro battuto, ognuno dedicato ad un animale e a un colore: il pavone blu e la volpe rossa. Anche progettarli e costruirli con le nostre mani è stata un’altra bellissima avventura! Insomma, il lavoro non ci manca, così come la passione per la terra e per un’agricoltura di qualità. Per molti anni il mare nella mia vita è stato giusto un bagno di tanto in tanto in una splendida caletta del promontorio di Piombino. Ma il canto delle sirene mi chiamava irresistibilmente verso i flutti. Per fortuna il mio amico Alessandro di tanto in tanto mi portava a fare un giro in barca a vela. Una volta che passammo qualche giorno a Capraia venne anche mio padre che non ci rimetteva piede da trent’anni. Di ritorno dall’isola, una splendida giornata di ottobre con l’acqua immobile come quella di un lago, cercai di convincere mio padre a restaurare il Meteor, e riprendere ad andare un po’ per mare, ma lui giustamente voleva una barca un po’ più comoda. Nemmeno a farlo apposta nel giro di poche settimane trovammo un’ottima occasione e acquistammo un Oceanis 281. E io a quarant’anni suonati iniziai allora ad imparare i rudimenti della vela. Mancava un nome alla nostra nuova barchina. Passai ore a cercare tutti i nomi che trovai di tutte le ninfee e nereidi della mitologia greca, tutte le stelle, tutte le conchiglie… ma alla fine si trattava di nomi troppo altisonanti e pretenziosi per la nostra barchina. Ben presto però fu chiaro che la soluzione era molto più semplice e a portata di mano. Visto che tutto era nato tornando da Capraia, e vista l’importanza dell’isola nella storia della nostra famiglia, perché non chiamare la nostra barca proprio “Isola di Capraia”? E subito sotto aggiungemmo le coordinate gps del posto dove teneva la barca mio nonno, direi un bel modo per chiudere il cerchio. Oggi appena ho un attimo scappo a fare due bordi fra Piombino e l’Elba, con qualche amico o a prendere due pesci con il mio babbo. Una volta giusto un bagno, una volta una veleggiata, una volta una cena a pelo d’acqua, l’importante è stare in mezzo all’acqua salata. Non posso dire di essere un uomo di mare, mi manca l’esperienza e la pratica di chi davvero è cresciuto a stretto contatto con questo elemento. Ma tutte le volte che salgo in cima all’uliveto e guardo quel triangolo blu all’orizzonte, mi ricordo delle infinite possibilità del mare, che aspettano solo noi.
Fabiano Busdraghi